E’ imminente questa ricorrenza.
I ricordi che affiorano in noi sono molteplici e la conversazione coinvolge anche i volontari A.V.O. che sono venuti a trovarci
Ascoltiamo Zelina, che con la voce rotta dalla commozione, ricorda che per la sua famiglia è stato sì un giorno felice, ma, nello stesso tempo, anche di enorme sofferenza.
Zelina aveva due fratelli, che avevano aderito al movimento dei partigiani ed erano andati a Valdastico, nei pressi di Schio a combattere, dove, purtroppo, fu ammazzato il più vecchio, Lino.
Lino aveva appena fatto in tempo a vedere nascere il figlio di Zelina, Angelo, e lei ricorda, con occhi lucidi, che lui le diceva sempre:
“Cara sorella, è tuo figlio e tu lo vedi bello, ma è un po’ bruttino. Speriamo sia vero il proverbio che dice: “ Brutt in fassi, bell in piassa”.
Era molto legata a Lino, si capivano senza tante parole e, per questo legame così forte, ha voluto che uno dei suoi figli portasse lo stesso nome del fratello tanto amato.
Poi, torna a narrare del 25 Aprile, raccontando di aver saputo della notizia della Liberazione dai partigiani, che giravano di casa in casa per dirlo.
Al vedere i partigiani, la madre di Zelina, che aveva saputo da poco dell’uccisione del figlio, piangeva ancor di più e diceva ad ognuno: “Sono contenta che sei salvo, ma poteva esserci anche mio figlio…..”
Nessuno riusciva a rispondere a queste parole così strazianti e quei ragazzi se ne andavano a testa china.
Zelina ricorda che erano brutti momenti, che non c’era da fidarsi di nessuno, anche se la maggior parte dei Tedeschi erano fuggiti oltre il Po, cercando di tornare a casa loro.
Allora aveva 23 anni e aveva visto la guerra e provato sulla sua pelle tutti gli orrori.
Ora spera solo che non ne venga un’altra, altrimenti è meglio morire prima.
Questi sono i ricordi di Zelina, ma ha anche una speranza, che consegna a tutti noi, con occhi velati dalla commozione, ed è che nessuna madre debba soffrire tanto quanto la sua.
Gentile ricorda che erano periodi in cui si stava poco fuori di casa, c’era ancora paura dei tedeschi, e, alla sera, si faceva “ Filoss” nelle stalle, restando al buio ed in silenzio, tesi a percepire ogni minimo rumore di stivali militari.
Dante ricorda che lui era un giovanotto, troppo giovane per essere arruolato, ma abbastanza grande per andare in giro con gli amici, facendo sempre stare in pensiero la madre.
Per fortuna non gli era mai successo niente.
Il 25 aprile in piazza a Gualtieri si era radunata la banda ed aveva improvvisato un concerto, per stare tutti in compagnia a godere del momento.
Tanta gente aveva fatto i cappelletti per festeggiare la notizia, diffusa anche dalla radio.
Amedea racconta che quel giorno c’era un forte vento e lei era andata a piedi a Baccanello.
I camion giravano per dare la notizia, ma quando cerca di ricordare con esattezza chi erano gli uomini sui camion, si apre una feroce discussione, in cui ognuno vuole avere ragione.
Dopo che tutti hanno illustrato il proprio punto di vista, ci si accorda nel dire che la notizia è stata portata dagli Americani e dai partigiani.
Ritorna, nei discorsi di tanti, quella brutta sensazione di incertezza e di sfiducia che condizionavano i rapporti interpersonali: c’erano ancora tanti fascisti in giro ed armati e si aveva paura di rappresaglie ai danni dei propri cari.
Nazzarena ricorda che stava andando in piazza, quel giorno, quando un aereo americano attaccò, per sbaglio, un convoglio della sua stessa nazione.
Lei si spaventò così tanto che scappò a casa.
E sempre in quei giorni, i tedeschi cercavano di guadare il Po, in tutti i modi possibili.
Ricorda la ritirata dei Tedeschi, allorquando si fermavano a mangiare nelle varie case, compresa la sua.
Si sedevano a tavola ed appoggiavano le armi sulla sedia.
Un Tedesco voleva regalare un cavallo, che aveva i contrassegni dell’esercito, a suo padre, spiegandogli anche come rimuovere il marchio, ma suo padre non accettò.
In quei pasti consumati a casa sua, in modo dimesso, Nazzarena rivede l’aspetto umano di quei soldati, senza nulla togliere alla gravità delle colpe di cui si erano resi colpevoli.
Ricorda chiaramente, e con commozione, gli occhi azzurri e disperati di quello stesso soldato tedesco, che era poco più di un ragazzo, fatto prigioniero e caricato su un camion per essere portato nel centro di raccolta sul sagrato della chiesa di Pieve che, per un attimo avevano incrociato i suoi, riconoscendola.
Amedea, Umberto, Nazzarena e tanti altri sono concordi nel dire che i Gualtieresi hanno aiutato numerosi soldati tedeschi e nascondersi e a disertare in quei giorni a ridosso del 25 aprile in cui c’era confusione e paura.
Le donne raccontano di averlo fatto anche per un desiderio nascosto, cui fanno fatica ancor adesso a dar voce: si auguravano con tutto il cuore che qualche altra madre, sorella, fidanzata, in altri parti del mondo, avesse pietà del loro caro e lo aiutasse, anche a rischio della propria incolumità, come loro facevano con quel “nemico” inerme e spaurito che avevano dinnanzi.
Finita la guerra, tanti di loro erano tornati a ringraziare le famiglie che li avevano salvati.
Quanto piangere e commozione in quegli abbracci…
Con Elda ricordiamo alcuni episodi di quel periodo, compreso l’eccidio della Famiglia Rossi di Santa Vittoria, cui assistette da lontano, senza poter far nulla, assieme all’amico Celestino.
Elda, militante nelle staffette partigiane, aveva un regolare porto d’armi, che conserva ancora gelosamente come memoria del passato, ma nonostante ciò non ne fece mai uso, sia per un insieme di circostanze favorevoli, sia per convinzione.
Schiva di natura, non racconta tutte le gesta di cui è stata protagonista ed ancor meno menziona l’onorificenza che le fu conferita dal Generale Alexander, a fine guerra, per i servizi resi e il coraggio dimostrato e neppure che la Repubblica Italiana la insignì di una medaglia per le azioni compiute all’interno del movimento dei partigiani.
Il tempo vola ad ascoltare Elda e ci affascina tutti perché illustra i fatti senza enfasi e dai suoi pacati racconti non traspare rancore o odio per alcuno.
E’ un esempio di alta educazione civica, così rara anche al giorno d’oggi.
E si susseguono altre memorie: Anna F. ricorda una sua vicina di casa, che, al passare di una camionetta di soldati tedeschi, disse: “ Pane, pane”, imitando il tono imperioso di tanti di loro.
Un soldato le sputò in faccia.
Anche Anna B. ricorda i giorni immediatamente seguenti la Liberazione, in cui tanti soldati tedeschi si presentavano alle case e chiedevano, spesso con fare umile: “Mamma, pane, pane e salame”
Né lei, né i suoi restavano insensibili a queste richieste e davano ciò che potevano.
Onorato muove ritmicamente un braccio: ci racconta che, nel suo paese, le campane suonavano a distesa per avvisare tutti della bella notizia e gli sembra ancora di sentire i rintocchi festosi.
Gli irriducibili “vittoriani” raccontano che in quei giorni i partigiani uscivano allo scoperto, abbracciandosi felici.
Ricordano anche di una casa, nei pressi della “ Bigliana”, dove c’erano nascosti dei tedeschi.
Erano partiti due partigiani da San Rocco di Guastalla, per andare a catturarli, ma nello scontro, il 26 aprile, hanno avuto la peggio.
Rina ricorda ancora la giornata soleggiata del 25 Aprile: suo padre era felice della notizia della Liberazione ed aveva deciso di andare a Torino a cercare il figlio, partigiano in quella zona.
Per avere indicazioni precise di dove recarsi, era andato a casa di un compagno d’armi del figlio, il quale, in quel frangente, era stato costretto a rivelargli che era morto, in combattimento, sei mesi prima e che lui aveva portato a casa la sua valigia, nascondendola dietro casa.
Vi potete immaginare lo strazio di quel padre, convinto di poter riabbracciare il figlio, quando invece dovette procedere all’esumazione del suo corpo, sepolto all’ombra di un albero, su una collina in Piemonte.
E, per finire con una bella immagine, Maria, la nostra preziosissima volontaria, ci regala un suo dolce ricordo: sotto casa sua, era parcheggiato un camion americano, arrivato in quei giorni.
Lo guidava un signore alto, alto, che quando la vide, la prese delicatamente in braccio, la baciò sulle guance e le regalò una stecca di cioccolato e una scatola di latte condensato, che lei non sapeva neanche cos’era.
In italiano molto stentato, le disse che le ricordava la sua bambina piccola, mentre due lacrimoni gli bagnavano il viso.
Ecco: per noi il 25 aprile è la “ Festa della Liberazione”, ma anche la “ Festa della Resistenza” : si chiudeva un lungo e buio periodo di dittatura, osteggiato da tanti di noi in modi diversi.
Ci si incamminava verso un radioso percorso di democrazia, che non è ancora concluso, ma su cui occorre vigilare ben fermamente.
Il 25 Aprile aspetteremo con ansia la Banda di Santa Vittoria per cantare, anche solo nel nostro cuore, le canzoni che in quel giorno riecheggiavano nelle nostre piazze e che avevano il sapore della LIBERTA’
Gli Anziani del C.S.A.:“ Felice Carri”
A.S.P.: “ Progetto Persona” Di Gualtieri