Resistenza: opposizione militare o anche soltanto politica, condotta nell’ambito della seconda guerra mondiale contro l’invasione d’Italia da parte della Germania nazista e nei confronti degli occupanti e della Repubblica sociale italiana da parte di liberi individui, partiti e movimenti organizzati in formazioni partigiane, nonché delle ricostituite forze armate del Regno del Sud che combattono a fianco degli alleati.
Ogni anno in questo periodo professori, giornalisti, studiosi e politici trattano, a diversi livelli, del tema della resistenza. E come ogni anno la domanda a cui tutti quanti cercano di rispondere è “che senso ha ancora oggi parlare di resistenza e festeggiare il 25 Aprile?” Le risposte sono sempre diverse, articolate a seconda del momento contingente; tutte partono dal presupposto innegabile che la Resistenza costituisce il fenomeno storico nel quale vanno individuate le origini stesse della nostra Repubblica. Infatti, l'Assemblea costituente fu in massima parte composta da esponenti dei partiti che avevano dato vita al Comitato di Liberazione Nazionale, i quali scrissero la Costituzione fondandola sulla sintesi tra le rispettive tradizioni politiche e ispirandola ai principi della Democrazia e dell'Antifascismo.
Detto questo, ed è bene ricordarlo ogni anno per non perdere di vista le radici della nostra democrazia, mi viene istintivo fare una piccola riflessione. Da tutti i racconti che ho sentito fare, leggendo i resoconti di quel periodo e anche dalle testimonianze dei nostri concittadini che sono andate a confluire nella “Collana della memoria”, emerge un aspetto umano importantissimo: un grande senso di solidarietà. Gli uomini e le donne che si sono trovati a vivere quel triste periodo della nostra storia, anche se soli, lontani da casa e dagli affetti oppure a casa ad aspettare il ritorno del proprio uomo, senza notizie per giorni e settimane, quando raccontano di quei momenti non parlano dell’angoscia e della solitudine che inevitabilmente avranno provato, bensì raccontano di episodi nei quali hanno condiviso qualcosa con persone sconosciute che però sono rimasti nella loro memoria indelebili.
Come quella ragazza polacca che portava due secchi di mele e, imbattendosi in una colonna di prigionieri affamati e assetati, ha “accidentalmente” rovesciato i due secchi così che i prigionieri sono riusciti a raccogliere le mele da terra e sfamarsi, mentre i militari tedeschi prendevano a bastonate la “maldestra” ragazza polacca. Oppure i contadini russi che aiutavano i militari italiani, ospitandoli in casa e offrendo loro cibo e acqua, come ci ricorda Iando Bianchi nel suo racconto.
A volte la solidarietà veniva manifestata anche fra compagni di prigionia: è il caso di Calafro che, catturato dagli inglesi nel deserto africano e costretto a marciare per giorni interi sotto il sole a picco, chiacchierava e faceva chiacchierare i suoi compagni di sventura perché non crollassero a terra, stremati dalla fame e dalla sete.
Le mele, l’ospitalità, le chiacchiere sono servite a quegli uomini per RESISTERE, per tirarsi fuori da situazioni disperate, per non mollare.
Tuttavia mi rifiuto di credere che la solidarietà fosse solo un modo per reagire alla guerra e alla disperazione che essa portava con sé.
Un diverso concetto di solidarietà e di umana pietà lo ritroviamo nelle canzoni di Fabrizio De Andrè, che per anni ha cantato gli ultimi, i rinnegati dalla società, ridando loro una dignità perduta o mai avuta. De Andrè aveva una sensibilità straordinaria e un animo profondo che gli permetteva di vedere oltre le convenzioni sociali e di andare a scovare l’intima essenza di quelle persone che normalmente vengono messe ai margini. Con la sua poesia ci raccontava il mondo dal loro punto di vista, e in questo modo ci apriva gli occhi su ciò che non riuscivamo a capire e non volevamo vedere. Infatti, spesso, quello che è diverso da noi ci spaventa, così invece di cercare di capire siamo istintivamente portati ad allontanarci, a scappare, a rifugiarci nelle nostre certezze. E in questo modo diventiamo sempre più individualisti, ma anche più soli, egoisti, concentrati unicamente su noi stessi e sul nostro bene. Quando ci ritroviamo in questo stato d’animo dovremmo sforzarci di non fuggire; bisognerebbe, invece, aprire gli occhi e cercare di capire chi c’è di fronte a noi e se per caso la sua manifesta diversità non sia una richiesta di aiuto.
Questo credo che sia il modo più alto di intendere la solidarietà, e l’insegnamento più grande che ci ha lasciato Fabrizio De Andrè.
Non è per niente casuale che quest’anno l’amministrazione comunale abbia deciso di invitare alla rassegna “Rock Resistente “ i Fabernoster, gruppo che ha nel proprio repertorio le canzoni del cantautore genovese. Siamo convinti che le sue canzoni ci aiutino a recuperare quello spirito di libertà e di solidarietà che oggi è, ahimé, perduto.
Livia Bianchi
(Assessore alle Politiche Giovanili)
Livia Bianchi
(Assessore alle Politiche Giovanili)
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